La Finlandia è lo stato più felice al mondo. Confermata al top per l’ottavo consecutivo, la nazione è seguita a ruota da tre dei quattro altri Paesi nordici – nell’ordine: Danimarca, Islanda e Svezia (la Norvegia è “solo” settima). A chiudere la cinquina di vertice, i Paesi Bassi, saliti di una posizione rispetto allo scorso anno[1]. Peggio di tutti, altra riconferma, l’Afganistan. A marcare lo stato come il più infelice tra tutti, tra le tante drammatiche evidenze, è la condizione delle donne che indicano le loro vite come particolarmente difficili. Appena sopra, in penultima posizione e con un punteggio generale di 2,998 su 10, la Sierra Leone, preceduta da Libano e Malawi.
Pubblicato il 20 marzo, Giornata internazionale della felicità, il World Happiness Report 2025, è stato condotto dal Wellbeing Research center dell’Università di Oxford, insieme a Gallup e alle Nazioni Unite. L’indagine e la “classifica” stilata in conseguenza ai risultati raccolti, si basa sulle risposte riguardo a come le persone valutano la loro vita. Quest’anno lo studio si è concentrato in particolare sull’impatto che la cura e la condivisione hanno sulla felicità delle persone. Le ultime scoperte indicano come credere nella gentilezza (kindness) degli altri sia un fattore legato a benessere e soddisfazione più strettamente di quanto si pensasse.
Commentando il report alla sua pubblicazione, Jon Clifton, amministratore delegato di Gallup, confermava: «La felicità non riguarda soltanto il benessere economico o la crescita», ma anche «la fiducia (negli altri), la connessione e la consapevolezza che le persone ti sostengono. Il rapporto di quest’anno dimostra che sottovalutiamo quanto sia gentile il mondo. Se vogliamo comunità ed economie più forti, dobbiamo investire in ciò che conta davvero: gli uni negli altri». E in effetti, stando alle evidenze, le persone sarebbero molto più pessimiste riguardo alla benevolenza degli altri rispetto alla realtà oggettiva.
A influenzare la percezione che si ha del proprio stato, secondo i ricercatori, oltre alla salute e al benessere, sarebbero inoltre fattori apparentemente semplici come il condividere i pasti, fare volontariato, avere dei contatti sociali su cui saper di poter contare. E, in certa misura, addirittura la dimensione e la composizione delle famiglie.
La felicità in tempi tormentati
Dedicare una giornata ogni anno a riconoscere e celebrare la felicità a livello internazionale, come create dalle Nazioni Unite nel 2013, può sembrare un esercizio frivolo. In realtà, l’istituzione del 20 marzo è un po’ il riconoscimento dell’importanza di questo sentimento come “traguardo fondamentale” nella vita delle persone. La condizione emotiva in cui ci troviamo, ha infatti un impatto su molti aspetti della vita sociale ed economica anche dei (nostri) Paesi.
A voler essere del tutto sinceri, inoltre, non possiamo nascondere come, in questa epoca di grandi incertezza, stravolgimenti degli ordini conosciuti e preoccupazioni per la sicurezza generale, trovare chiavi per una migliore interpretazione del presente e contro il rischio della disperazione, è un pensiero quantomeno piacevole.
A prescindere dall’utilità diretta degli spunti per immaginare piccoli efficaci cambiamenti, guardiamo alle modalità e alla compilazione dello studio: il rapporto redatto annualmente traccia la situazione mondiale in tema di felicità attraverso le risposte dei questionari raccolti in 147 nazioni. I dati, analizzati da esperti in psicologia, sociologia ed economia, riferiscono di fattori come il PIL nominale e l’aspettativa di vita dei Paesi considerati. Ma analizzano anche il senso di libertà vissuto dai rispondenti, la generosità e il livello di corruzione percepito.
Se alcuni risultati confermano certe aspettative, come il fatto che peggio fanno le nazioni dove si protraggono conflitti armati o si perpetuano oppressioni contro le donne o minoranze, altri gettano nuova luce sugli elementi che contribuiscono a società più forti. Perché, certo, avere un tetto sulla testa e un pasto nutriente a tavola chiaramente implicano stati di serenità maggiore. Ma anche un supporto sociale affidabile e la fiducia negli altri contribuiscono a rafforzare una buona qualità della vita.
L’Europa al top. Gli usa precipitano
Lo abbiamo detto all’inizio, anche quest’anno in cima alla classifica restano soprattutto i Paesi del nord. E in generale, le nazioni dell’Europa – e in particolarmente i membri della UE – a occupare 15 delle prime 20 posizioni. L’edizione 2025 del World Happiness Report però mostra anche alcuni valori non scontati. Tra i casi più particolari, il Messico. La nazione sudamericana, che in media nelle diverse edizioni si è posizionata 24esima, quest’anno ha raggiunto il suo record massimo, entrando tra i top, al 10o posto e con una valutazione generale della vita di quasi 7 punti su 10 (6,979).
Si muovono in direzione opposta, invece, gli Stati Uniti. Per quanto il crollo di quest’anno non sia il peggiore registrato (il record in questo senso è stato nel 2023), la 24esima posizione attuale è la peggiore per la nazione, anche rispetto al 23esimo di 12 mesi fa. Andando a guardare nel dettaglio la situazione oltre oceano, il “senso di disperazione” domina la valutazione al ribasso indicata dagli statunitensi.
Secondo l’immagine tracciata dal report, la dualità che si riscontra, per esempio nelle due nazioni appena citate, sembra interpretabile anche attraverso il livello di isolamento sociale che registrano. Nello stesso Messico o in Costa Rica (in sesta posizione e prima nazione tra i paesi del continente americano), le famiglie generalmente sono più numerose. Ed esiste una maggiore abitudine a pranzare o cenare insieme. Sarebbero questi due elementi tra gli altri ad influire positivamente sul benessere delle persone. Si legge infatti nel rapporto come «condividere i pasti ha un forte impatto sulla sensazione di benessere personale – alla pari dell’influenza (che hanno) reddito e disoccupazione. Questo vale per tutte le fasce d’età, i generi, le nazioni, le culture e le regioni» del mondo.
Una situazione che, spostando l’attenzione appena più a nord, non è condivisa da molti negli Stati Uniti. Per quanto nella prima edizione dello studio, risalente al 2012 sia entrata all’undicesimo posto, il suo record massimo, la nazione registra una crescente scontentezza tra le persone. Tra isolamento sociale e polarizzazione politica, i dati indicano un forte aumento del numero di quanti mangiano da soli – salito del 53% negli ultimi vent’anni. Una tendenza questa che, per quanto comune a tutte le generazioni, è particolarmente evidente tra i giovani.
Altra evidenza statunitense in contrasto con l’andamento registrato a livello generale, è la cosiddetta “death of despair”, la morte nella disperazione. Dal 2000 questo tipo di decessi è calato del 75% in 59 Paesi, in particolare tra negli stati dell’Europa nord-orientale. Oggi in generale i livelli sono poi particolarmente bassi in Paesi con il maggior numero di quanti sostengono di donare a iniziative benefiche, fare volontariato o aiutare degli sconosciuti. Negli Stati Uniti, al contrario, i numeri della “disperazione” restano invece alti. Questo succede anche, per esempio, in Corea del Sud e Slovenia.
Chi fa meglio cosa
Dicevamo sopra come la fiducia nella gentilezza degli altri ha una più stretta relazione con la felicità rispetto a quanto precedentemente immaginato. Con questa “scoperta” tra le mani, gli studiosi che hanno redatto i dettagli del rapporto Gallup-Università di Oxford confermano che il livello delle relazioni umane, delle connessioni personali, sono elementi cruciali nello stabilire il grado di soddisfazione della propria vita. Si tratta di aspetti che le nazioni ai primi posti della classifica vedono verificarsi. Un esempio usato per valutare e spiegare la situazione, è la fiducia delle persone nel riavere un portafoglio perso. Visto come un indicatore affidabile di felicità collettiva, questo particolare elemento registra punteggi elevati sia nella percezione che nell’effettiva restituzione soprattutto nei Paesi nordici.
Nell’ottica della condivisione, fattore importante – e che contribuisce a portare Paesi diversi e per certi versi inaspettati nelle prime posizioni – riguarda l’ambito domestico. Per la maggior parte delle persone la famiglia è fonte di supporto e gioia. In Europa e in Sud America, nuclei di quattro o cinque persone, in particolare se coppie con figli e una famiglia allargata (a nonni, zii, cugini…), registrano livelli medi particolarmente alti di soddisfazione.
Conferma lo studio: «le società sud-americane, caratterizzate da famiglie di grandi dimensioni e forti legami tra parenti, offrono lezioni preziose per altre società che cercano un benessere maggiore e sostenibile». Inoltre, «quelli che condividono i pasti con altri, registrano livelli di soddisfazione di vita significativamente più alti». Pare poi vero che questo tipo di condivisione sia «strettamente legato a certe, ma non tutte, le misure di connessione sociale. Soprattutto, le nazioni dove le persone condividono più frequentemente in pasti mostrano più alti livelli di supporto sociale e reciprocità positiva. E più bassi livelli di solitudine».
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[1] L’Italia, quest’anno al 40esimo posto, si posiziona un solo gradino sotto la sua media generale. Quasi equamente distante dal suo ranking massimo (28) e minimo (50). Precedono il bel paese, Spagna ed Estonia e lo seguono appena sotto, Panama, Argentina e Kazakhstan.
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